La situazione delle banche continua a destare preoccupazione da entrambi i lati dell’Atlantico. L’autorità Usa di gestione delle crisi (Federal deposit insurance corporation, Fdic) ha proposto di aumentare la copertura dell’assicurazione dei depositi, che è già più estesa di quella europea e al contrario della nostra è sostenuta dal bilancio federale. Nel dibattito europeo stanno prendendo piede due idee, entrambe sbagliate. La prima è che il problema non ci riguardi, perché la vigilanza Bce è migliore di quella americana. Lo è, ma non basta. La seconda, accarezzata specialmente in Italia, è che il problema sia la Banca centrale, che aumenta i tassi di interesse. Queste idee spostano l’attenzione da quello che dovrebbe essere l’obiettivo principale: rafforzare i presidi di stabilità del sistema.
Quanto sta accadendo alle banche è una manifestazione fisiologica, ma esasperata, di quanto avviene in qualunque ciclo monetario. Esasperata perché mai in passato si erano visti tassi di interesse a zero, e addirittura negativi, per giunta così a lungo. Quando i tassi scendono le banche sono inondate di depositi; in parte si tengono liquide, in parte investono in titoli a reddito fisso e mutui immobiliari. Nel far questo prendono rischio. Quando i tassi ritornano normali, le banche sono intrappolate da due parti. Da un lato i depositi escono, quindi parte dell’attivo va smobilizzato con possibili perdite in conto capitale. Dall’altro, il costo del finanziamento aumenta, mentre il rendimento dell’attivo a tasso fisso resta basso. Perdite quindi anche dal lato del conto economico.
Questi esiti erano ampiamente prevedibili nel periodo della Grande Espansione Monetaria, dal 2008 al 2022. Forse qualche eccesso si poteva evitare; per esempio, l’ultima espansione pre-pandemica della Bce (settembre 2019) retrospettivamente appare inutile. E la Bce poteva capire prima che stava arrivando l’inflazione, anticipando e rendendo quindi meno brusco l’aumento dei tassi. Ma tant’è; la situazione oggi va affrontata come tale.
L’esperienza recente delle banche USA mostra che per proteggere la stabilità del sistema l’autorità preposta deve poter fare quattro cose:
1 prendere in carico la banca in crisi;
2 sollecitare offerte di acquirenti per tutta o parte di essa, mettendoli in concorrenza;
3 negoziare la suddivisione dei costi fra essi e l’autorità stessa;
4 scegliere la soluzione di minor costo.
Per far questo essa deve disporre di mezzi finanziari, provenienti in primo luogo da fondi interbancari e poi se necessario dai fondi pubblici salvo rivalersi poi sul sistema bancario. In Europa, il Meccanismo di risoluzione unico (Mru) non ha né le strutture, né i poteri, né i mezzi finanziari per affrontare e risolvere le crisi bancarie in questo modo. La legislazione gli assegna un potere decisionale sul quarto punto di cui sopra, ma senza i primi tre il meccanismo non può funzionare a dovere.
Va anche ricordato che in nessun caso la Fdic può assumere partecipazioni o rischi su banche in attività, se non nel quadro di un’operazione di risoluzione a seguito della quale la banca come
tale esce dal mercato.
La proposta di riforma della legislazione europea avanzata dalla Commissione europea il mese scorso non risolve nessuno di questi problemi. Permangono i vincoli che impediscono al Mru di agire autonomamente sui suddetti primi tre punti. Continuano a esserci ostacoli pressoché insormontabili all’uso del fondo europeo di risoluzione. A dispetto delle intenzioni, si ampliano di fatto gli spazi per gli “interventi preventivi” su banche in attività, a rischio di depauperare le già scarse risorse per l’assicurazione dei depositi e la risoluzione delle crisi.
L’unico spazio per progredire in questo momento è in ambito nazionale. A grandi tratti un’ipotesi di riforma potrebbe configurarsi come segue. L’ipotetica agenzia italiana per l’assicurazione dei depositi riunirebbe le funzioni di risoluzione nazionale e assicurazione dei depositi, al momento separate. Avrebbe una struttura indipendente, esterna alla Banca d’Italia. Disporrebbe di poteri di intervento, quali quelli sopra delineati, e mezzi finanziari adeguati, se necessario ricorrendo al sistema bancario. Avrebbe accesso al bilancio pubblico a precise e restrittive condizioni, salvo poi rivalersi sul sistema. Infine, non sarebbe autorizzata a intervenire a sostegno di banche in attività, salvo circostanze eccezionali e su richiesta delle autorità europee.
Niente nella legislazione europea impone una riforma del genere. Ma niente la proibisce. Sarebbe un atto di “sovranità italiana”. Un esempio anche per altri Paesi e un segnale rassicurante per depositanti
e mercati finanziari.
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