Angeloni: La mossa di Del Vecchio cambierà il panorama bancario
Class CNBC
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Intervista con Andrea Cabrini
Le misure più urgenti e tutti i rischi per il nuovo governo
Milano Finanza
Intervista di Luisa Leone
Il metodo Draghi applicato all’Italia significherà pragmatismo e grande attenzione alle priorità strategiche, grazie anche alla collaborazione di una squadra di fiducia. Così in questa intervista Ignazio Angeloni, che con il premier incaricato ha collaborato per anni alla Bce.
Domanda. Dottor Angeloni, se dovesse riassumere un «Metodo Draghi» cosa direbbe?
Risposta. Direi che è improntato a un gran pragmatismo, con la caratteristica dell’essere completamente concentrato sugli obiettivi da raggiungere. E poi grande attenzione nello scegliere le persone più qualificate e in grado di aiutare concretamente nel raggiungere gli obiettivi. Delega molto ma chiede anche molto a chi è chiamato a collaborare. In sintesi, gioco di squadra, pragmatismo e focalizzazione sugli obiettivi.
D. Come potrebbe tradursi il “metodo Draghi” applicato all’Italia?
R. Molto dipenderà dall’orizzonte temporale dell’esecutivo. Credo che gli obiettivi saranno quelli che è necessario e possibile raggiungere, o anche solo intraprendere, in questo arco di tempo.
D. Quali?
R. Anzitutto, governare l’uscita dal lockdown, organizzare le vaccinazioni accelerandole il più possibile, riscrivere o modificare in larga parte il Recovery, focalizzandolo su riforme e investimenti, gestire la fine del blocco dei licenziamenti. Senza dimenticare la scuola, una vera priorità il ritorno degli studenti in classe. E poi, a fine anno, l’uscita da quota 100. Tutte cose con scadenze imminenti, poche settimane o pochi mesi.
D. Già si parla anche della riforma della Pa, del fisco, della giustizia. Molta carne al fuoco…
R. Si tratta di temi cruciali ma che richiedono una certa elaborazione, non vorrei che si caricasse questo esecutivo di troppe aspettative. Di certo il premier non avrà difficoltà a individuare le priorità e a metterle in relazione ai tempi necessari per affrontarle. Immagino che si concentrerà su obiettivi da raggiungere e raggiungibili.
D. Mario Draghi è sempre stato un tecnico ma gli si attribuiscono doti da fine politico, concorda?
R. Assolutamente si, ha doti in tantissimi campi, anche in quello politico. Fatico comunque a capire la distinzione, molto presente nel dibattito italiano, fra tecnici e politici: chi fa politica monetaria o economica entra in questioni redistributive che sono politiche. E anche solo per rendere efficace un programma di politica monetaria, specialmente in Europa, è necessario confrontarsi con soggetti politici, a cominciare dal governo tedesco, con cui Draghi ha dovuto interagire nei suoi anni alla guida della Bce. Il presidente incaricato possiede attitudini anche politiche fuori dal comune, che si manifestano nel capire cosa è possibile realizzare e cosa, anche se magari auspicabile, non è raggiungibile.
D. Le inevitabili contrapposizioni di una maggioranza tanto ampia potranno metterlo in difficoltà?
R. Il fatto che ci sia stato, all’inizio di questa avventura, un consenso apparentemente quasi unanime mi sembra un fatto positivo, direi propulsivo. Uno dei problemi dell’Italia, vista dall’estero, è che per lunghi anni non c’è stato sufficiente consenso politico e sociale per attuare le riforme. Non voglio dire che non ci saranno difficoltà quando si passerà alla pratica, ma una caratteristica del personaggio è la capacità di aggirare gli ostacoli che possono creare divisioni, magari soprassedendo su alcune questioni e procedendo su quel che si può. Ma sui punti determinanti del programma di governo certamente sarà lui a decidere, è quello che prevede la Costituzione e lui indubbiamente lo farà.
D. Il premier incaricato aveva parlato, prima di essere chiamato alla guida del governo, della necessità di evitare che denari pubblici finiscano a sostenere aziende zombie, comunque destinate a fallire, come si traduce in pratica questo ragionamento?
R. Pensando in particolare al Recovery, ci dovrebbe essere maggiore enfasi su investimenti che creino potenziale produttivo, anche infrastrutturale, che rinnovino il capitale pubblico che si è deteriorato negli anni, realizzando anche la complementarietà tra investimenti e riforme. Comunque dubito che le molte imprese che sopravvivevano o addirittura prosperavano prima dello scoppio della pandemia diventeranno zombie per il solo effetto Covid. Alcune aziende e soprattutto banche dovranno fondersi o ristrutturarsi, ma chi era avviato verso la modernizzazione prima del Covid continuerà a esserlo.
D. Come vede il settore bancario in questa crisi? Serviranno interventi?
R. Il sistema ha fatto dal 2014, soprattutto dopo l’avvio della Vigilanza unica, passi avanti notevoli sia sotto il profilo della capitalizzazione che della pulizia dei bilanci. Diverse banche si sono rimesse in carreggiata, altre sono ancora in una fase di transizione ma ben avviata. Vedo la necessità di intervenire sulla struttura dimensionale del sistema soprattutto nella fascia media e medio piccola, con fusioni o ristrutturazioni significative. Interventi che possono essere facilitati dal fatto che la Commissione europea in questa fase è più aperta sul tema degli aiuti di Stato.
D. E la bad bank pubblica?
R. Non credo che una bad bank europea sia oggi realizzabile, è passato troppo tempo e oggi i problemi all’interno dell’Europa sono troppo diversificati. Quanto a quella nazionale c’è una riflessione da fare: perché a eccezione della Spagna nessun Paese l’ha creata? Io credo che sia perché si teme l’effetto stigma, è come riconoscere implicitamente che il settore bancario nazionale ha un problema. In Italia vari istituti si sono rimessi a posto da soli, quindi il tema potrebbe non essere così d’attualità. Anche se non escluderei che in certe aree si possano creare progetti che coinvolgano più banche in questa direzione.
D. Crede che Draghi interverrà sul settore bancario?
R. Ho la sensazione che le priorità siano altre; non credo che l’attenzione immediata sarà concentrata sulle banche. Oggi tutti ci aspettiamo un forte incremento degli npl ma ancora questo incremento non si è visto, anzi gli ultimi dati Abi evidenziano una ulteriore riduzione a dicembre. La crisi del credito è paventata ma ancora non si è palesata, perciò non sappiamo quali saranno le dimensioni e i tempi bisognerà aspettare almeno le semestrali per capire quando e per quanto bisognerà intervenire.
D. Quali sono ai suoi occhi le macropriorità per il Paese oggi?
R. A parte le questioni immediate di sanità e Recovery, infrastrutture per il territorio e capitale pubblico, lavoro, la scuola, assicurare il futuro dei giovani, fisco, giustizia e pubblica amministrazione.
D. Un programma troppo vasto per questo esecutivo?
R. È un programma da cominciare il prima possibile ma da portare avanti nel tempo. In relazione al suo orizzonte temporale, l’esecutivo potrà avviarlo positivamente ma non potrà necessariamente portarlo tutto a termine.
D. Si è parlato anche di Lei come possibile membro dell’esecutivo, sarebbe disponibile?
R. Non ho sentito nulla a questo riguardo e non lo credo possibile.
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Il Messaggero
Intervista di Rosario Dimito
Di Rosario Dimito
Parto dalle parole del presidente Mattarella prima che convocasse albo Draghi al Quirinale: anche a causa della pandemia, i tempi necessari per fare le elezioni avrebbero creato altri problemi». Quali? «Di sicurezza sanitaria che non possiamo permetterci adesso, quindi la via d’uscita è stata quella di chiamare una personalità di altissimo profilo. Questa la soluzione ottimale in questo momento delicato e critico per il Paese. A mio avviso è il primo segnale positivo che questa scelta ha dato e segnala alla comunità europea e internazionale che nel momento di crisi l’Italia fa le scelte giuste. Secondo segnale è che lo lascino lavorare». Ignazio Angeloni, economista, ha lavorato al fianco del neo premier per sette anni in Bce, fino a marzo 2019, dopo averlo conosciuto a Washington nel 1984. Ricorda quando nel 2012 Draghi gli affidò l’incarico di costruire la Vigilanza bancaria Bce. Ora l’economista è ancora in coolling-off, non può assumere altri incarichi istituzionali: è ricercatore ad Harvard e insegna all’università di Francoforte dove risiede.
In questa intervista al Messaggero, Angeloni affronta i temi chiave che il nuovo premier si troverà ad affrontare.
Quali le decisioni dei primi 100 giorni?
«Bisogna gestire l’uscita cauta graduale dalle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria, perchè il paese fatica. Al tempo stesso occorre gestire e accelerare le vaccinazioni in modo da mettere in sicurezza la salute. Whatever it takes disse Draghi a luglio 2012 per salvare l’euro, ora bisogna fare qualsiasi cosa per vaccinare quanto prima gli italiani e immunizzarli».
Tutto qui e poi?
«No, a marzo scade il blocco dei licenziamenti, quindi gestire la transizione, procedere con i trasferimenti, le riconversioni, assicurare i ristori a chi resta temporaneamente disoccupato. Per fortuna in questo momento i fondi non sono un problema. Con il sostegno della Ue e i vincoli rimossi alla politica di bilancio. A fine anno scade quota 100, bisogna decidere come assicurare nel tempo un regime pensionistico equo e sostenibile, dando certezza alle persone ed evitando situazioni di passaggio inique e dolorose. Per operare su questi fronti Draghi deve contare su una maggioranza stabile almeno per un anno».
Il Recovery fund, secondo lei, va cambiato? Come?
«Il modello presentato il 13 gennaio si articola in sei direttive, condivisibili, manca completamente il dettaglio operativo, per ognuno di questi grandi capitoli: secondo me è necessario specificare i progetti. Un esempio? Rete idrica, specificare che nella particolare provincia essa va rifatta perché ha un tasso di perdita enorme, indicando obiettivi, risorse materiali e umane, tempi, fasi di verifica in corso d’opera. A questo va aggiunta la governante del piano di resilienza, i responsabili dei singoli progetti che li realizzano.
Pensa sia meglio un governo dei tecnici, oppure un governo politico?
«Non mi esprimo su questo, Draghi è stato incaricato, faccian1s7)1avorare e diamogli fiducia, deve trovare sostegno parlamentare».
Il Mes è stato uno dei nodi del Conte bis: va utilizzato?
«Assolutamente sì, va preso, il settore sanitario deve essere potenziato, ha subito tagli significativi negli ultimi anni, va riformato per tener conto delle sfide future, le pandemie sono un rischio e questo rischio crescerà, 36 miliardi senza condizioni sono quello che serve per realizzare questo progetto».
Cosa devono fare la Vigilanza europea e gli organi della Ue per favorire il ruolo delle banche oggi chiamate a sostenere pmi e famiglie?
«La Vigilanza Bce ha usato la flessibilità necessaria, sia quella che la regolamentazione richiede anche quella che di cui dispone in autonomia. Ha dato spazio alle banche allentando i requisiti di capitale, alleggerendo vincoli e consentendo che esse potessero sostenere l’economia. Ora bisogna monitorare attentamente i loro bilanci: gli effetti della pandemia sui erediti deteriorati non si sono ancora visti. Secondo gli ultimi dati, gli Npl stanno scendendo. L’ondata non si è ancora manifestata, ne vedremo gli impatti con le semestrali, allora capiremo gli ordini di grandezza e i necessari aggiustamenti di capitale. La Vigilanza Ue ha fatto una verifica Srep statica mantenendo per ora invariati i requisiti. Andrà valutato l’effetto della crisi sulla redditività: i margini si sono ridotti, le perdite su crediti richiederanno accantonamenti. Per contro la domanda di credito è cresciuta, può esservi una compensazione tramite l’aumento di volumi prestati».
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Formiche
Intervista di Gianluca Zapponini
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Di Gianluca Zapponini
Forse hanno davvero ragione in Goldman Sachs quando sostengono che Mario Draghi non solo è la migliore risorsa italiana, ma è anche l’ultima a disposizione. E allora, c’è davvero poco da inventarsi, serve il più ampio sostegno possibile a un uomo che, piaccia o no, ha salvato non solo l’euro ma l’Europa stessa.
Anche perché, fa notare a Formiche.net Ignazio Angeloni, economista alla Harvard Kennedy School, ex membro del Consiglio di Sorveglianza della Bce proprio negli anni di Draghi al vertice dell’Eurotower e con un passato in Bankitalia, altro anello di congiunzione con il padre del Whatever it takes, lo stesso Sergio Mattarella ha invitato caldamente i partiti fornire il massimo consenso possibile a Draghi.
Angeloni, il Quirinale ha deciso di puntare tutto su Mario Draghi. Un nome di quelli pesanti…
La scelta di Mattarella è stata esemplare, frutto di una chiarezza assoluta. Le ragioni che hanno spinto il Colle a scegliere Draghi sono inattaccabili. Così come è inattaccabile lo stesso Draghi, la migliore risorsa che abbiamo a disposizione. E questo non lo pensano, come abbiamo visto, solo i mercati, ma anche tutta l’Europa e la comunità internazionale.
Quale è il messaggio che arriva all’esterno dal Quirinale?
Che l’Italia, nei momenti di difficoltà, sa tirare fuori gli uomini migliori di cui dispone.
Draghi spesso è stato dipinto come un uomo della Provvidenza. Lei crede che riuscirà a imporre una sua linea e una sua politica economica per superare questo momento così drammatico?
Questo dipende dalla politica e dalla capacità di dialogo dei partiti. Però qui conta solo una cosa: bisogna lasciare lavorare Draghi, perché in tutte le posizioni in cui si è trovato ha dimostrato una capacità di manovra e di decisione unica. Draghi deve poter lavorare in pace, con un sostegno stabile e per almeno un anno. Anche perché le sfide dei prossimi mesi non sono poche, anzi.
La vittoria finale contro la pandemia…
Si, ma non solo. C’è la necessità di portare fuori il Paese dalle sabbie mobili della recessione e soprattutto da accelerare la campagna di vaccinazione. Per questo bisogna usare tutti i mezzi finanziari e logistici di cui disponiamo. Ancora, c’è il mercato del lavoro, la fine del blocco dei licenziamenti e anche la questione pensionistica, evitando se possibile nuovi scaloni. Tutte cose che Draghi, se godrà del tempo e del sostegno necessario, sarà in grado di fare. Lo ripeto, va lasciato lavorare.
Il clima delle prime ore le ispira fiducia, Angeloni?
Non lo so, presto per dirlo. Però credo che già dai primissimi giorni capiremo chi tra i partiti in Parlamento è disposto a dare sostegno e tempo a Draghi. Mattarella ha dato la scossa, ora spetta alla politica fare le sue scelte.
I mercati hanno già dato la loro fiducia a Draghi, lo si è visto fin dalla mattinata. Buon segno visto che il debito italiano si regge anche sulla loro fiducia, non crede?
Assolutamente. Però non credo che l’Italia nei prossimi mesi avrà un problema debito. Semmai lo avrà nei prossimi anni. I tassi sono bassi e le banche centrali comprano, adesso. Ma il debito è sempre debito e prima o poi quei soldi vanno restituiti. Per questo la fiducia dei mercati è essenziale e va mantenuta, ma non con l’austerity, bensì spendendo bene le risorse che abbiamo e che soprattutto otteniamo.
Chissà perché mi viene in mente il Recovery Plan. Il governo Conte è caduto proprio su quello.
Certo, è proprio da quello che dobbiamo partire. Serve un documento concreto, dettagliato e sicuro, anche dal punto di vista della governance. La bozza che abbiamo visto nelle settimane scorse va bene nelle idee ma è assolutamente carente nei dettagli e nella governance. Anche qui Draghi è l’uomo giusto, anche perché ha una capacità non comune: scegliere le persone e lasciarle lavorare. Lo ha dimostrato anche quando era al Tesoro. Per questo bisogna lasciarlo lavorare. Me lo auguro con tutto il cuore.
Class CNBC
Intervista con Andrea Cabrini
UBS
Discussion with Beat Siegenthaler
Europe is currently facing greater challenges than back in 2011/12 when the euro zone was one step away from falling apart. Back then, the ECB saved the day, and the crisis ultimately was overcome.
Ignazio Angeloni, one of Europe’s foremost banking and supervisory experts, discusses some of the challenges European fiscal and monetary policy is facing in the aftermath of the crisis with Beat Siegenthaler of the UBS Knowledge Network.
Q&A with Ignazio Angeloni, former ECB Supervisory Board Member
There is no problem for sovereigns to finance themselves, and no immediate concerns including for Italy which keeps tapping markets at sustainable cost, says Ignazio Angeloni, former member of the ECB Supervisory Board. In his view, debt sustainability problems may arise though in the second phase of the crisis, which could begin mid-2021 or so. There is also a fundamental issue with bank profitability and bank viability in Europe which predates the crisis and will have to be addressed. Ignazio Angeloni is one of the continent’s foremost banking and supervisory experts, having been at the ECB in various positions as well as at the Italian Ministry of Economy and Finance as its Director of International Financial Relations. He is currently a Senior Fellow at the Harvard Kennedy School.
Ignazio Angeloni spoke to Beat Siegenthaler of the UBS Knowledge Network from Frankfurt on 5 May 2020.
Beat Siegenthaler: What is your initial take on the German Constitutional Court ruling on the ECB’s PSPP?
Ignazio Angeloni: Well, I’m not a lawyer, and this is a complex ruling which will have to be pondered very carefully [see here for a note discussing the ruling published after this interview took place]. I was positively surprised by the fact that there’s no allegation of monetary financing, and that the court also discards the possibility of improper transfer across countries. The judges focused on proportionality. They want to see more clearly demonstrated that the instrument used was necessary for achieving the purpose, which is price stability, the ECB’s objective. They ask the ECB, within three months, to demonstrate that what has been done was necessary for that purpose.
I was rather shocked to see the court seemingly implying that price stability is not unconditional but its benefits have to be weighed against other implications, other effects of the instruments used. We were always told, from the German side, that price stability should be number one, to be pursued regardless of everything else.
BS: The market reaction right after the publication of the ruling was relatively muted. Are you concerned that the ruling could undermine the credibility of the PEPP, and make life more difficult for the ECB?
IA: A bit of additional uncertainty is undeniable. Italian spreads were up, though very moderately. It will depend on how the ECB will react. I think that any arguments made for the PSPP will also hold for the PEPP. But I’m relatively relaxed. We have to see what the ECB comes up with.
During the period of time we are now living through, OMT is not the appropriate instrument as it is designed for individual countries losing market access, and requires conditionality. At the moment there is no problem for the financing of sovereigns. There is no immediate concern for the Italian Treasury for example. I think potential problems for public debt sustainability may come in the second phase, at the beginning or at mid-next year.
‘We were always told, from the German side, that price stability should be number one, to be pursued regardless of everything else’
BS: So you would say that the ECB has the right instruments to address the crisis?
IA: The ECB has chosen to act in installment, in a sequence of steps. They started at the beginning of March with some liquidity measures, which were clearly insufficient; but then came the PEPP. Following that they took, in two stages, measures to enlarge the collateral framework and then introduced additional liquidity measures for the banks – the PELTRO. One should see this as a whole set of measure, one single policy.
It’s fair to say that they’ve shown flexibility and promptness to adjust to the evolving situation and to incoming information. There’s still a lot of uncertainty, big range of possible outcomes. The ECB is proceeding incrementally, following the information as it becomes available. The ECB has been criticized in the past for being behind the curve. I don’t think that’s the case now. They are not behind the curve, nor ahead of the curve; they are right on top of the curve, prepared to adjust as the situation evolves.
BS: What’s your assessment of the ECB facilities to provide cheap money to banks, how effective do you think they will be?
IA: All these measures will ensure that everybody who needs liquidity gets it, that there will not be immediate repercussions in terms of bankruptcies, either of corporates or of banks, so that there will not be an economic and financial second-round impact from the health emergency. I think that’s the spirit of these measures and I think they are going to be successful at that.
But that’s just the liquidity part of the story. The solvency part will be more in the fiscal area, and as we move to the second phase, inevitably we will see a real economic impact in terms of bankruptcies. Then there will be also long-term effects in the structure of the economy – the third phase. The second phase of the crisis will be not so much for the ECB, but for the fiscal authorities, and to some extent for the banking regulators, to address. The ECB will be involved as a supervisor, finding the right pace and the right way to lift the measures that were taken in order to facilitate the recovery. Right now we are still in the emergency phase, that requires crisis management.
‘There is a fundamental issue about bank profitability in Europe, and bank viability, which predates the crisis’
BS: European financials have fared poorly in terms of their share prices, and the ECB support has not helped much to support their valuations. What is your general assessment of European banks?
IA: There is a fundamental issue about bank profitability in Europe, and bank viability, which predates the crisis. But the question of how to ensure the medium-term well-functioning and the viability of the European banking system is a separate issue from today’ concerns. The ECB’s bank lending survey a few days ago showed that liquidity measures are helping, and that the conditional instruments of liquidity (those where liquidity is granted on condition that banks lend to clients) are viewed positively. In the next quarter they will be even more effective in facilitating lending activity. But of course, lending means credit, and credit means debt. So there is a question of how this mounting debt, corporate, bank and public sector debt will be managed and reabsorbed in the second and third phase of this crisis. But that’s more for next year than for now.
BS: How do you view the regulatory easing that has been delivered so far, has it been appropriate and to what extent will it create new risks?
IA: Well, this is the time for supervisory and regulatory forbearance, which is something I had fought very actively against as a supervisor, but was one of the first to advocate when this crisis came (‘ECB should turn to supervisory forbearance’). There needs to be flexibility. This is going to be a very deep recession. You need to make sure that the banks are not constrained in their lending activity by the availability of capital or the need to set up provisions. The ECB bank lending survey showed that there has been some tightening of credit conditions by the banks, but it’s been relatively limited. Had the ECB supervision not reacted, the impact would have been much worse.
When the crisis ends and the recovery comes, the legislators and the supervisors will have to reconsider the banking union construction. Improvements will have to be made; banks will have to build up buffers and become more resilient. But this is for the future. But at this moment, the regulators and supervisors have to support the banks by showing flexibility.
BS: Are you worried about reports that US banks are withdrawing from Europe?
IA: I think that one of the long-term implications of this crisis will be a rethinking of globalization, not only in terms of health policy but trade, travel, border policies, and banking too. It is very possible that the next 10, 20 or 30 years will be very different from what we have seen in the last 20 or 25 years. We may see much more home-based banking sectors – which in Europe means, or should mean, area-wide. I do think that the European banking sector is able to take care of itself, but it’s very possible that there will be a retrenchment with less European banking activities in the US (to some extent we have already seen that), and less US activity in Europe.
‘I don’t see the economic conditions for inflation to pick up in a sustained way’
BS: Does this also mean that the ambition of the European banking union might suffer, that it will be more difficult to envisage a truly European system as opposed to more national activity?
IA: There are at present two problems in the banking union. One is that crisis management tools and authority are not up to the task. The Single Resolution Board does not have enough instruments, powers, and financial means, to take care effectively from Brussels of European banks in crisis. Legislators will have to look again at the functionality of the crisis management mechanism.
The second problem is that legislation and supervision do not allow sufficient scope for the banks to expand cross-border. The European legislation should be such that banks see obvious opportunities and advantages from establishing themselves cross-border. Currently the legislation does not allow that. Banks cannot move capital from a subsidiary cross-border to the mother company. Liquidity transfers are limited by national legislation. We see national ring fencing all over the place. Legislators and supervisors have to make a step further and ensure that area-wide banking becomes not only possible but also much more attractive than it is now.
Once that happens, we will see more European-wide banking, and we may also see the cross-border mergers and acquisitions, often invoked but not seen so far. Banks currently don’t see advantages of them, only risks.
BS: In terms of sovereign solvency, how worried are you that there will be a debt crisis in Europe?
IA: Let’s take Italy as the most prominent example of solvency considerations. There’s no question that the debt situation will worsen very significantly: from around 135% of GDP at the end of last year, the debt will jump up to 160% and maybe more. But if we look at sustainability, and with the help of the ECB, at the moment the Italian Treasury is financing itself relatively cheaply, on average. The average cost of funding the Italian debt is well below 1%. That’s not the case at the margin, with the spread to Bunds around 240 basis points, but overall the situation should be manageable even if the debt goes up to 160 or 170% of GDP.
Italy has been able to produce a primary surplus of 1% of GDP or more for years, so with these numbers the sustainability condition more or less works out. The situation would get more difficult if inflation picked up. If inflation picked up significantly – say core inflation at 2-3% in a durable way – then he ECB might have to react, and if they react relatively strongly, real interest rates will go up and the sustainability of the certain public debts may be in danger. That’s a possibility in principle, but for the moment it’s not in the cards. I don’t see the economic conditions for inflation to pick up in a sustained way.
BS: In a recent opinion piece you strongly argued for the European recovery fund, which however still seems very controversial. What’s your assessment of where we stand on the political side of crisis management?
IA: We’re waiting for the European Commission’s proposal for the recovery fund, probably for the middle of May. What’s been done so far, I think, is appropriate. The program involving the European Investment Bank (EIB), the new European Stability Mechanism (ESM) health facility, and the SURE – the unemployment support facility – are adequate, at least for phase one of the crisis. For phase two though we will need more. When the bankruptcies kick in, and maybe financing problems too, including for some treasuries, then we will need something else.
I believe that in order to be effective, the recovery fund has to be large. The president of the commission has spoken about trillions, certainly more than one trillion. This is what people expect. The equity base of it has to go into the European budget. It may be relatively limited, 200 billion or so, so one has to leverage that in order to reach a critical mass. But the question is who leverages? Do you ask the firms, the corporates to pile up debt, or will it be the commission itself that borrows more in order to be able to lend more? If the fund counts on corporate borrowing then there may be a tight limit; corporates are already indebted and are hesitant to pile up even more debt. I think it’s important that the fund is structured in a way to help the solvency of public debt, in addition to avoiding excessive corporate debt. This calls for very concessional terms, including a sizeable grant component.
BS: Will this path be sufficient to keep the euro area together, will it be enough to pay for the pretty massive cost and debt increase? Or will there still be a need for countries to tap the ESM, including Italy?
IA: I think the Euro area is supported by two or three fundamental factors. First of all, the euro clearly enjoys the support of the public. The political support is definitely there, in every country, including those who have suffered the most in the crisis.
On the institutional side, the ECB has proved its worth. It’s working. And the euro has a solid second-level position as an international currency. All these things imply that there is a critical mass of support for the euro as a currency. Of course, that doesn’t mean we’ll be no more crises: we will certainly see more adjustments, more difficult situations as we are seeing now. But I strongly believe that, by now, the euro is fundamentally established within the international financial system.
Corriere della Sera
La liquidità è la cosa più importante in una fase come questa, Fed e Bce hanno fatto bene ad agire per assicurare i mercati. Le Borse se ne curano meno perché sono concentrate sul Coronavirus. Attenti alle imprese, devono ottenere i soldi dalle banche che possono darli perché sono più forti. Ma servono garanzie pubbliche: è ampio il quadro della situazione economica e finanziaria tracciato da Ignazio Angeloni, senior fellow alla Kennedy School e all’università di Francoforte e già membro del consiglio di sorveglianza della Bce.
Come spiega la mossa della Federal Reserve di domenica notte?
«È la seconda decisione della Fed importantissima al di fuori del calendario normale e in pochi giorni, e questo denota l’urgenza. Hanno deciso una riduzione fortissima del tasso, di un punto fino al livello zero un nuovo programma di acquisto di titoli pubblici e privati. E poi hanno annunciato, e stanno attuando, operazioni con le altre banche centrali di swap per fornire dollari alle banche che ne hanno bisogno in Paesi in cui il dollaro non viene emesso, in modo da assicurare che le banche non abbiamo uno shortage (una carenza, ndr) di liquidità in una valuta che non sono prontamente a loro disponibili».
Quale conta di più?
«La seconda e la terza decisione riguardano la liquidità e sono molto importanti perché uno dei sintomi preoccupanti negli Stati Uniti nei giorni scorsi era proprio che il mercato non abbia più liquidità. Si è visto cioè che, contrariamente al solito, quando scendevano i corsi azionari, anziché salire scendevano pure i titoli a reddito fisso, che sono più sicuri. Cioè il mercato vendeva tutto, senza discriminare tra che cosa è più sicuro e che cosa lo è meno. Questo è un segnale pessimo che si era visto già nel 2008 nei giorni terribili di settembre e che la banca centrale deve contrastare con ogni mezzo, fornendo liquidità e garantendo la solvibilità degli operatori in titoli e con tutti i mezzi di cui dispone. L’altra decisione è quella del tasso: si discute se la riduzione dei tassi abbia ancora effetto o sia un arma spuntata; io ritengo che sia stato un segnale di forza della Fed. Non che ci si aspetti che riducendo i tassi da 1 a zero o ancor di più, nel caso della Bce, da -0,5% a un livello ancora più basso si possa avere un effetto. Quindi, più che altro, un segnale.
Ma perché i mercati allora crollano?
«Il fatto che i mercati borsistici crollino non ci deve preoccupare più di tanto, perché gli occhi degli operatori sono sul progresso del virus e sull’impatto economico più che sulla banca centrale. La borsa è molto volatile in questo momento: così come sta cadendo ora, recupererà — chissà quando — e io credo che è il momento in cui operatori e autorità devono tenere i nervi saldi e seguire la situazione».
Che cosa pensa della mossa della Bce di giovedì?
«La mia personale sensazione è che il pacchetto della Bce sia ben congegnato. Le componenti che sono le operazioni a lungo termine di mercato aperto, l’allungamento dell’acquisto di titoli attraverso l’Asset Purchase Program e quella operazione di mercato aperto Tltro che consiste nel fornire liquidità alle banche in quantità crescente e a costi decrescenti in funzione dei cediti che loro erogano ai loro clienti. Il fatto di aver rafforzato questi canali è molto importante ed è esattamente quello che serviva».
In diversi si attendevano un taglio dei tassi…
«La ragione per cui la Bce non ha tagliato il tasso è spiegata bene nella nota che ha scritto l’economista del board, Philip Pane — che non so quanto sia stata vista e letta — che spiega bene l’analisi che sta dietro questa operazione. Loro ritengono che ci sarà una recessione profonda ma rapida, cioè già nel primo semestre ci sarà un caduta del prodotto nell’aera dell’euro e in tutti i diversi modo cospicuo. Ieri sera una nota di Unicredit, dell’economista Erik Nielsen, l’ha quantificata nel 5%. Ci sarà una caduta del pil nell’area euro dell’1% nel primo trimestre e del 4% nel secondo. Ma cui seguirà una salita. In questo caso è giusto non ridurre i tassi, perché il tasso è una misura più permanente, mentre le operazioni di liquidità sono più per il breve termine. Naturalmente poi la Bce aggiusterà i suoi strumenti e le sue decisioni nel caso in cui la recessione sia più prolungata».
Questo è il più grande stress test che le banche stanno vivendo: sono attrezzate per resistere? Qual è il loro punto debole, e quale il punto di forza?
«Sono molto più attrezzate di quanto fossero nel 2008-2010, quelle europe, peraltro anche lì in misura diversa. L’azione costante, difficile, di ricapitalizzazione e di pulizia dei bilanci che la Vigilanza Bce ha fatto, anche contro tante opposizione, efficacemente dal 2014 fino almeno al 2017 è fondamentale. È il punto che ci dà più sicurezza. Una parziale sicurezza, perché naturalmente niente è perfetto, ma quell’azione oggi ci dà più tranquillità. In una situazione come questa le banche centrali che hanno anche la vigilanza bancaria, come la Bce, devono usare anche quello strumento, e l’hanno fatto. È uscito anche un comunicato della Vigilanza Bce. La questione dei crediti deteriorati va tenuta presente. Per quei crediti che diventeranno deteriorati per effetto del coronavirus devono essere a mio avviso temporaneamente sterilizzati dal patrimonio i nuovi accantonamenti».
Cioè se un’impresa non riesce a pagare, non dovrebbe diventare un deteriorato vero e proprio nel bilancio della banca?
«Non deve andare a pesare negli accantonamenti e nel capitale delle banche, in questa fase di crisi. E questa carenza di capitale e di accantonamenti nel bilancio delle banche deve — dovrebbe — essere sostituita da garanzie pubbliche. Le banche devono rimanere solide, il pubblico garantisce. Credo che sia molto importante, perché se le banche hanno paura di un aumento dei loro crediti deteriorati, e che non possano sterilizzarli nel loro bilancio, si tenderà ad avere una restrizione dell’offerta di credito, che è l’ultima cosa che vogliamo avere in questo momento».
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Class CNBC
Interview con Irene Elisei
Corriere Economia
Intervista di Federico Fubini
Investimenti Il Paese ha bisogno di investimenti in capitale umano e fisico, oltre che di riforme
Il piano Se l’Italia si presentasse con un piano credibile di investimenti e riforme, ci sarebbe disponibilità
di Federico Fubini
Ignazio Angeloni è stato ai vertici della ricerca della Banca centrale europea dal 1998 ed è fra i pochissimi che nel 2014 hanno avviato la vigilanza dell’Eurotower sulle banche europee. Venerdì il suo compito si è esaurito e lui si prepara a un incarico a Harvard. Per la prima volta, è libero di dire la sua sul ruolo dell’Italia in Europa.
L’economia va male. Colpa delle guerre commerciali, dalla frenata europea o dell’Italia stessa?
«La tempistica del rallentamento, iniziato già nella seconda metà dell’anno scorso, e il peso della frenata della domanda, legata a un calo della fiducia, fanno pensare che hanno giocato i fattori italiani. Poi sicuramente si sono fatte sentire entrambe le componenti, interna e estera».
Se l’Italia cresce sempre un punto meno dell’Europa, non è normale essere fermi se l’Europa cresce all’ido?
«Un ingrediente della recessione è legato a carenze strutturali che frenano la crescita rispetto agli andamenti europei. Ma preoccupa che l’Italia abbia rallentato prima e di più. Servirebbero riforme che eliminassero quello zoccolo dell’u fra noi e 1Turopa».
Data la debolezza del potere d’acquisto delle persone, il governo cerca di sostenere la crescita con la spesa pubblica. Può funzionare?
«Vanno usati tutti gli spazi di bilancio che non rischino di essere controproducenti. I Paesi che hanno margini, hanno più libertà di manovra. Quelli che subiscono oneri aggiuntivi causati dalla sfiducia, eliminabili senza costi, come prima cosa devono eliminarli. Una volta che la fiducia sia ristabilita, magari ci sono dei margini di manovra che si possono usare. Ma l’esigenza primaria è la fiducia. Senza, nessuno spende né investe».
Il debito e il deficit stanno salendo: l’Italia dovrà affrontare una forte correzione del bilancio?
«Il 2019 è andato, ormai si ragiona sul 2020. E lì che bisogna stare attenti a non uscire dai vincoli. Dobbiamo trovare un accordo positivo e produttivo con l’Europa. Il calo della fiducia in parte è generato dalla sensazione che si è data in Italia di voler entrare in conflitto con le istituzioni europee. Ha pesato il rischio che Italia uscisse dal cordone di sicurezza. Per questo un atteggiamento più costruttivo può aiutare molto».
L’Europa chiede riforme, il governo sostegno ai redditi e agli investimenti. Un compromesso è possibile?
«Certo. Anche in altre capitali ci si rende conto che qualche errore in passato è stato fatto e ora si tratta di aiutare anche l’Italia a stabilizzarsi. Dobbiamo azzerare gli orologi e raggiungere un grande accordo. Se l’Italia si presentasse con un piano credibile di investimenti e riforme, credo ci sarebbe disponibilità a prenderlo in considerazione».
Cos’è un piano credibile?
«Il sostegno alla domanda dev’essere qualificato, con investimenti e non con spesa corrente. Italia e anche Germania hanno entrambe bisogno di investimenti. Se l’Italia si proponesse con un piano serio, anche sulla base di un aiuto europeo sottoposto a un vaglio, l’Europa non si volterebbe dall’altra parte. Tutti sanno che il Paese ha bisogno di investimenti in capitale umano e fisico, oltre che riforme per liberare il mercato dal lato dell’offerta. Ma tutto resta bloccato perché si ha la sensazione che l’Italia sia un Paese che non collabora».
Spiega così il fatto che i tedeschi resistono a un piano di rilancio dell’area euro con investimenti pubblici?
«Questo è vero a tutto campo, nella politica di bilancio e nella regolamentazione bancaria. Se l’Italia dà la sensazione di non voler far parte compiutamente del quadro di regole europee, dà una scusa a quelli che vogliono frenare nella messa in comune dei debiti bancari, nell’assicurazione sulla disoccupazione o nei rischi di bilancio. Chi frena ha un argomento incontrovertibile: non possiamo fidarci dell’Italia. Il problema è che nessuno si fida più di nessuno. È il punto da cambiare per costruire condizioni migliori».
Lei dice che in Europa si capiscono certi errori nei confronti dell’Italia. Pensa al divieto di usare il Fondo di tutela dei depositi per stabilizzare le banche? I giudici Ue dicono che era infondato.
«Se il giudizio sarà confermato, ciò vorrà dire che la Commissione ha sbagliato nell’applicare le nuove regole sugli aiuti di Stato alle banche in modo frettoloso e impreciso. Ma non che sostenere a oltranza banche che non stanno sul mercato fosse una buona politica. Né che se si fosse potuto usare il Fondo di tutela per ricapitalizzare le banche, sarebbe cambiato tutto. In fondo con Atlante e con il fondo volontario molti costi dei dissesti bancari sono comunque ricaduti sul settore del credito».
Si sarebbe evitato di colpire i risparmiatori, con tutto ciò che ne è seguito…
«Vero. Però si dovevano togliere prima i titoli subordinati dai loro portafogli. Ora bisogna ripartire ripensando a come meglio applicare le regole europee, senza demolire il bailin e cioè l’idea che certe categorie devono essere consapevoli del rischio che si assumono comprando titoli bancari a più alto rendimento. Ma evitiamo di dire “avevamo ragione noi” per gestire ancora i problemi delle banche decotte addossandole alle banche sane».
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