Angeloni: «Fra l’Italia e la Ue ora serve un grande accordo»

Corriere Economia
Intervista di Federico Fubini

L’ex Bce: azzeriamo gli orologi, va ricreata fiducia per ripartire 

Investimenti Il Paese ha bisogno di investimenti in capitale umano e fisico, oltre che di riforme 

Il piano Se l’Italia si presentasse con un piano credibile di investimenti e riforme, ci sarebbe disponibilità 

L’intervista 

di Federico Fubini 

Ignazio Angeloni è stato ai vertici della ricerca della Banca centrale europea dal 1998 ed è fra i pochissimi che nel 2014 hanno avviato la vigilanza dell’Eurotower sulle banche europee. Venerdì il suo compito si è esaurito e lui si prepara a un incarico a Harvard. Per la prima volta, è libero di dire la sua sul ruolo dell’Italia in Europa.

L’economia va male. Colpa delle guerre commerciali, dalla frenata europea o dell’Italia stessa?

«La tempistica del rallentamento, iniziato già nella seconda metà dell’anno scorso, e il peso della frenata della domanda, legata a un calo della fiducia, fanno pensare che hanno giocato i fattori italiani. Poi sicuramente si sono fatte sentire entrambe le componenti, interna e estera».

Se l’Italia cresce sempre un punto meno dell’Europa, non è normale essere fermi se l’Europa cresce all’ido?

«Un ingrediente della recessione è legato a carenze strutturali che frenano la crescita rispetto agli andamenti europei. Ma preoccupa che l’Italia abbia rallentato prima e di più. Servirebbero riforme che eliminassero quello zoccolo dell’u fra noi e 1Turopa».

Data la debolezza del potere d’acquisto delle persone, il governo cerca di sostenere la crescita con la spesa pubblica. Può funzionare?

«Vanno usati tutti gli spazi di bilancio che non rischino di essere controproducenti. I Paesi che hanno margini, hanno più libertà di manovra. Quelli che subiscono oneri aggiuntivi causati dalla sfiducia, eliminabili senza costi, come prima cosa devono eliminarli. Una volta che la fiducia sia ristabilita, magari ci sono dei margini di manovra che si possono usare. Ma l’esigenza primaria è la fiducia. Senza, nessuno spende né investe».

Il debito e il deficit stanno salendo: l’Italia dovrà affrontare una forte correzione del bilancio?

«Il 2019 è andato, ormai si ragiona sul 2020. E lì che bisogna stare attenti a non uscire dai vincoli. Dobbiamo trovare un accordo positivo e produttivo con l’Europa. Il calo della fiducia in parte è generato dalla sensazione che si è data in Italia di voler entrare in conflitto con le istituzioni europee. Ha pesato il rischio che Italia uscisse dal cordone di sicurezza. Per questo un atteggiamento più costruttivo può aiutare molto».

L’Europa chiede riforme, il governo sostegno ai redditi e agli investimenti. Un compromesso è possibile?

«Certo. Anche in altre capitali ci si rende conto che qualche errore in passato è stato fatto e ora si tratta di aiutare anche l’Italia a stabilizzarsi. Dobbiamo azzerare gli orologi e raggiungere un grande accordo. Se l’Italia si presentasse con un piano credibile di investimenti e riforme, credo ci sarebbe disponibilità a prenderlo in considerazione».

Cos’è un piano credibile? 

«Il sostegno alla domanda dev’essere qualificato, con investimenti e non con spesa corrente. Italia e anche Germania hanno entrambe bisogno di investimenti. Se l’Italia si proponesse con un piano serio, anche sulla base di un aiuto europeo sottoposto a un vaglio, l’Europa non si volterebbe dall’altra parte. Tutti sanno che il Paese ha bisogno di investimenti in capitale umano e fisico, oltre che riforme per liberare il mercato dal lato dell’offerta. Ma tutto resta bloccato perché si ha la sensazione che l’Italia sia un Paese che non collabora».

Spiega così il fatto che i tedeschi resistono a un piano di rilancio dell’area euro con investimenti pubblici?

«Questo è vero a tutto campo, nella politica di bilancio e nella regolamentazione bancaria. Se l’Italia dà la sensazione di non voler far parte compiutamente del quadro di regole europee, dà una scusa a quelli che vogliono frenare nella messa in comune dei debiti bancari, nell’assicurazione sulla disoccupazione o nei rischi di bilancio. Chi frena ha un argomento incontrovertibile: non possiamo fidarci dell’Italia. Il problema è che nessuno si fida più di nessuno. È il punto da cambiare per costruire condizioni migliori».

Lei dice che in Europa si capiscono certi errori nei confronti dell’Italia. Pensa al divieto di usare il Fondo di tutela dei depositi per stabilizzare le banche? I giudici Ue dicono che era infondato.

«Se il giudizio sarà confermato, ciò vorrà dire che la Commissione ha sbagliato nell’applicare le nuove regole sugli aiuti di Stato alle banche in modo frettoloso e impreciso. Ma non che sostenere a oltranza banche che non stanno sul mercato fosse una buona politica. Né che se si fosse potuto usare il Fondo di tutela per ricapitalizzare le banche, sarebbe cambiato tutto. In fondo con Atlante e con il fondo volontario molti costi dei dissesti bancari sono comunque ricaduti sul settore del credito».

Si sarebbe evitato di colpire i risparmiatori, con tutto ciò che ne è seguito…

«Vero. Però si dovevano togliere prima i titoli subordinati dai loro portafogli. Ora bisogna ripartire ripensando a come meglio applicare le regole europee, senza demolire il bailin e cioè l’idea che certe categorie devono essere consapevoli del rischio che si assumono comprando titoli bancari a più alto rendimento. Ma evitiamo di dire “avevamo ragione noi” per gestire ancora i problemi delle banche decotte addossandole alle banche sane». 

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