Dentro il metodo Draghi

Milano Finanza
Intervista di Luisa Leone

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Il metodo Draghi applicato all’Italia significherà pragmatismo e grande attenzione alle priorità strategiche, grazie anche alla collaborazione di una squadra di fiducia. Così in questa intervista Ignazio Angeloni, che con il premier incaricato ha collaborato per anni alla Bce.

Domanda. Dottor Angeloni, se dovesse riassumere un «Metodo Draghi» cosa direbbe?

Risposta. Direi che è improntato a un gran pragmatismo, con la caratteristica dell’essere completamente concentrato sugli obiettivi da raggiungere. E poi grande attenzione nello scegliere le persone più qualificate e in grado di aiutare concretamente nel raggiungere gli obiettivi. Delega molto ma chiede anche molto a chi è chiamato a collaborare. In sintesi, gioco di squadra, pragmatismo e focalizzazione sugli obiettivi.

D. Come potrebbe tradursi il “metodo Draghi” applicato all’Italia?

R. Molto dipenderà dall’orizzonte temporale dell’esecutivo. Credo che gli obiettivi saranno quelli che è necessario e possibile raggiungere, o anche solo intraprendere, in questo arco di tempo.

D. Quali?

R. Anzitutto, governare l’uscita dal lockdown, organizzare le vaccinazioni accelerandole il più possibile, riscrivere o modificare in larga parte il Recovery, focalizzandolo su riforme e investimenti, gestire la fine del blocco dei licenziamenti. Senza dimenticare la scuola, una vera priorità il ritorno degli studenti in classe. E poi, a fine anno, l’uscita da quota 100. Tutte cose con scadenze imminenti, poche settimane o pochi mesi.

D. Già si parla anche della riforma della Pa, del fisco, della giustizia. Molta carne al fuoco…

R. Si tratta di temi cruciali ma che richiedono una certa elaborazione, non vorrei che si caricasse questo esecutivo di troppe aspettative. Di certo il premier non avrà difficoltà a individuare le priorità e a metterle in relazione ai tempi necessari per affrontarle. Immagino che si concentrerà su obiettivi da raggiungere e raggiungibili.

D. Mario Draghi è sempre stato un tecnico ma gli si attribuiscono doti da fine politico, concorda?

R. Assolutamente si, ha doti in tantissimi campi, anche in quello politico. Fatico comunque a capire la distinzione, molto presente nel dibattito italiano, fra tecnici e politici: chi fa politica monetaria o economica entra in questioni redistributive che sono politiche. E anche solo per rendere efficace un programma di politica monetaria, specialmente in Europa, è necessario confrontarsi con soggetti politici, a cominciare dal governo tedesco, con cui Draghi ha dovuto interagire nei suoi anni alla guida della Bce. Il presidente incaricato possiede attitudini anche politiche fuori dal comune, che si manifestano nel capire cosa è possibile realizzare e cosa, anche se magari auspicabile, non è raggiungibile.

D. Le inevitabili contrapposizioni di una maggioranza tanto ampia potranno metterlo in difficoltà?

R. Il fatto che ci sia stato, all’inizio di questa avventura, un consenso apparentemente quasi unanime mi sembra un fatto positivo, direi propulsivo. Uno dei problemi dell’Italia, vista dall’estero, è che per lunghi anni non c’è stato sufficiente consenso politico e sociale per attuare le riforme. Non voglio dire che non ci saranno difficoltà quando si passerà alla pratica, ma una caratteristica del personaggio è la capacità di aggirare gli ostacoli che possono creare divisioni, magari soprassedendo su alcune questioni e procedendo su quel che si può. Ma sui punti determinanti del programma di governo certamente sarà lui a decidere, è quello che prevede la Costituzione e lui indubbiamente lo farà.

D. Il premier incaricato aveva parlato, prima di essere chiamato alla guida del governo, della necessità di evitare che denari pubblici finiscano a sostenere aziende zombie, comunque destinate a fallire, come si traduce in pratica questo ragionamento?

R. Pensando in particolare al Recovery, ci dovrebbe essere maggiore enfasi su investimenti che creino potenziale produttivo, anche infrastrutturale, che rinnovino il capitale pubblico che si è deteriorato negli anni, realizzando anche la complementarietà tra investimenti e riforme. Comunque dubito che le molte imprese che sopravvivevano o addirittura prosperavano prima dello scoppio della pandemia diventeranno zombie per il solo effetto Covid. Alcune aziende e soprattutto banche dovranno fondersi o ristrutturarsi, ma chi era avviato verso la modernizzazione prima del Covid continuerà a esserlo.

D. Come vede il settore bancario in questa crisi? Serviranno interventi?

R. Il sistema ha fatto dal 2014, soprattutto dopo l’avvio della Vigilanza unica, passi avanti notevoli sia sotto il profilo della capitalizzazione che della pulizia dei bilanci. Diverse banche si sono rimesse in carreggiata, altre sono ancora in una fase di transizione ma ben avviata. Vedo la necessità di intervenire sulla struttura dimensionale del sistema soprattutto nella fascia media e medio piccola, con fusioni o ristrutturazioni significative. Interventi che possono essere facilitati dal fatto che la Commissione europea in questa fase è più aperta sul tema degli aiuti di Stato.

D. E la bad bank pubblica?

R. Non credo che una bad bank europea sia oggi realizzabile, è passato troppo tempo e oggi i problemi all’interno dell’Europa sono troppo diversificati. Quanto a quella nazionale c’è una riflessione da fare: perché a eccezione della Spagna nessun Paese l’ha creata? Io credo che sia perché si teme l’effetto stigma, è come riconoscere implicitamente che il settore bancario nazionale ha un problema. In Italia vari istituti si sono rimessi a posto da soli, quindi il tema potrebbe non essere così d’attualità. Anche se non escluderei che in certe aree si possano creare progetti che coinvolgano più banche in questa direzione.

D. Crede che Draghi interverrà sul settore bancario?

R. Ho la sensazione che le priorità siano altre; non credo che l’attenzione immediata sarà concentrata sulle banche. Oggi tutti ci aspettiamo un forte incremento degli npl ma ancora questo incremento non si è visto, anzi gli ultimi dati Abi evidenziano una ulteriore riduzione a dicembre. La crisi del credito è paventata ma ancora non si è palesata, perciò non sappiamo quali saranno le dimensioni e i tempi bisognerà aspettare almeno le semestrali per capire quando e per quanto bisognerà intervenire.

D. Quali sono ai suoi occhi le macropriorità per il Paese oggi?

R. A parte le questioni immediate di sanità e Recovery, infrastrutture per il territorio e capitale pubblico, lavoro, la scuola, assicurare il futuro dei giovani, fisco, giustizia e pubblica amministrazione.

D. Un programma troppo vasto per questo esecutivo?

R. È un programma da cominciare il prima possibile ma da portare avanti nel tempo. In relazione al suo orizzonte temporale, l’esecutivo potrà avviarlo positivamente ma non potrà necessariamente portarlo tutto a termine.

D. Si è parlato anche di Lei come possibile membro dell’esecutivo, sarebbe disponibile?

R. Non ho sentito nulla a questo riguardo e non lo credo possibile.

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