La tentazione di occuparsi di un problema minore quando ben più seri ma più difficili problemi incombono è sempre irresistibile
La tentazione di occuparsi di un problema minore quando ben più seri ma più difficili problemi incombono è sempre irresistibile. Abbiamo il sospetto che la diatriba sull’uso del contante, sorta improvvisamente mentre c’è da chiudere un bilancio, recuperare i ritardi del Pnrr, affrontare drammatici rischi geologici e Ischia e altrove, aiutare gli Ucraini a sopravvivere al gelo e alle bombe, eccetera, sia in parte uno di questi casi.
Ha cominciato il governo. La coalizione, dopo aver vinto brillantemente le elezioni, si incaponisce a soddisfare promesse elettorali di piccolo cabotaggio. Tale è quella di alleviare l’obbligo di pagare con PoS (per i non anglofili: significa Point of Sale, il dispositivo che consente il pagamento elettronico con carta). Il governo attuale vorrebbe fissare la soglia a 60 euro, quando in precedenza era fissata a 30 euro. Un grosso cambiamento? Non sembra. Probabilmente consentirebbe a piccoli venditori al dettaglio, tassisti e negozianti, di far passare in nero alcuni piccoli ricavi, evadendo l’imposta. In quanto tale il provvedimento può essere inopportuno, soprattutto se accompagnato da ammiccamenti da parte di politici che lasciano intendere che non solo questa piccola evasione sarà tollerata, ma che in fondo è un bene che sia così. Detto questo, il problema dell’evasione fiscale in Italia, assai serio, certo non dipende dall’aumentare quella soglia di poche decine di euro.
Più importante è l’innalzamento del limite legale dei pagamenti in contante a 5.000 euro. Una cifra grossa: a occhio e croce il salto da 1.000 euro (tale sarebbe il limite dal 1 gennaio a legislazione invariata) a 5.000 euro porterebbe sotto la soglia una buona parte delle fatture tipicamente emesse, rendendole quindi potenziali candidate all’evasione con conseguenze difficilmente calcolabili. Su questo punto la decisione sembra ancora aperta. È quindi sperabile che il governo cambi idea.
Beninteso, promuovere l’uso di strumenti di pagamento efficienti è del tutto legittimo e opportuno. Lo strumento più valido per farlo è la concorrenza fra le banche e i circuiti. La storia delle carte di pagamento è illuminante. Partite negli anni 50 del secolo scorso (gli anziani ricordano ancora Diners e Bankamericard) le carte di credito e di debito si sono rapidamente affermate in tutto il mondo a grande richiesta dei consumatori, che ne hanno imposto l’uso agli esercenti. Questi ultimi sono a volte riluttanti perché ne devono sopportare i costi, ma alla fine le hanno dovute accettare per non perdere clienti. Da notare, per inciso, che alla fine tutti gli esercenti ci guadagnano: ricerche al confine fra l’economia e la psicologia hanno dimostrato che chi usa le carte spende di più di chi paga col contante. La concorrenza ha poi abbassato le commissioni, soprattutto sulle carte di debito, che addebitano in conto, ma anche su quelle di credito, che consentono il pagamento differito. Il mercato in questo campo ha prodotto effetti stupefacenti: basti pensare al fatto che il formato della carta, il rettangolo di plastica di 85,6 per 53,98 millimetri, con angoli arrotondati di raggio 3,18 millimetri, è lo stesso in tutto il mondo, mentre ancora non siamo riusciti ad armonizzare le prese elettriche e le ricariche dei telefoni. Anche la concorrenza esercitata dal contante aiuta. In Germania, paese notoriamente affezionato al contante, per il cui uso non ci sono limiti, la carta di debito (EC-Karte, o Girocard) è diffusissima, accettata di buon grado in tutti gli esercizi e si usa anche per prelevare contante ai supermercati (senza commissione). Per gli acquisti al dettaglio la commissione media è dello 0,05 per cento (stima Bundesbank). Un costo che, a quanto è dato sapere, è molto più basso di quello accessibile agli esercenti italiani. Morale della storia: il mercato funziona bene in questo settore, perfino nella rigida Germania.
Tornando in Italia, all’orientamento espresso dal governo ha risposto la Banca d’Italia. Fabrizio Balassone, capo dell’area economia strutturale dell’Istituto, nell’audizione parlamentare del 5 dicembre ha fatto tre cose. Anzitutto ha riconosciuto che la legge di bilancio è nel complesso prudente, rispettosa dei vincoli della finanza pubblica pur mentre usa gli spazi disponibili per favorire le famiglie meno abbienti o in altro modo bisognose. Poi, nell’elencare i vari punti della manovra, ha puntato il dito su alcuni rischi derivanti dalla revisione del reddito di cittadinanza (rischio povertà), dall’estensione della “tassa piatta” (rischio diseguaglianze) e dagli interventi di rottamazione e stralcio delle cartelle esattoriali (a proposito di “ammiccamento” agli evasori). Tutte ossrvazioni condivisibili, espresse e documentate con pacate parole e indubbia autorevolezza. Infine, sulla questione del contante ha richiamato varie ricerche che confermano l’esistenza di un legame causale fra uso del contante ed economia sommersa.
Su quest’ultimo punto è lecito esprimere qualche dubbio. L’evidenza internazionale non è univoca (grafico a fianco); ci sono anche vari casi in cui una preferenza per il contante non si accompagna a fenomeni diffusi di indisciplina fiscale evasione o criminalità. Il legame fra i due fenomeni dipende dal contesto. L’uso del contante, piuttosto che determinare il sommerso e l’evasione, li consente quando essi sono già diffusi per altre ragioni. In questi casi alcune restrizioni si giustificano, ma sempre nel rispetto di criteri di praticità e della preferenza delle persone. Voler pagare in maniera non tracciabile non indica sempre un reato, così come non lo indica il voler tenere riservato quello che uno scrive in una lettera o in un messaggio online.
La presidente Meloni ha ragione quando dice che le critiche mosse dalla Banca d’Italia alla sua manovra non sono sostanziali. Forse la principale richiesta, espressa sotto traccia, è che il suo governo trasmetta chiari segnali a tutti gli italiani, e soprattutto ai suoi elettori, che l’evasione fiscale è un male che danneggia tutti e che non sarà tollerata. Segnali che finora non sono stati espressi con la stessa chiarezza da tutte le componenti del governo.
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